“The Last of Us”: la serie si espande ancora. Ma è davvero un bene?

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Di solito, quando una storia viene adattata per il piccolo o grande schermo, il primo obiettivo è tagliare. Gli sceneggiatori eliminano sottotrame, uniscono personaggi o condensano le scene per rendere più snello il materiale originale. È una scelta inevitabile: leggere un libro o completare un videogioco richiede decine di ore, mentre un film o una serie TV dispone di un tempo molto più limitato per raccontare la stessa vicenda.

Eppure, già dalla prima stagione di The Last of Us – e ora ancora di più con l’episodio d’apertura della seconda – i creatori Craig Mazin e Neil Druckmann hanno dimostrato di avere un altro approccio. Invece di tagliare, preferiscono arricchire. Nella prima stagione, questa scelta ha portato a diverse aggiunte significative. La prima, e forse più celebrata, riguarda la storia di Bill e Frank: nel videogioco, Frank compare solo come un cadavere, mentre nella serie il loro rapporto diventa uno degli episodi più intensi e apprezzati.

Altri arricchimenti hanno coinvolto Henry e Sam, che hanno ricevuto più spazio e profondità, e l’introduzione di un personaggio del tutto inedito, Kathleen, che però non ha riscosso lo stesso consenso. Nell’episodio finale, la serie ci ha anche offerto un flashback dedicato ad Anna, la madre di Ellie – una figura appena accennata nel gioco – che ha permesso di mostrare l’origine dell’immunità della ragazza.

Tutti questi elementi hanno regalato contenuti inediti agli spettatori già familiari con il gioco, ma hanno anche inciso sul ritmo della narrazione. La prima stagione è iniziata con un tono lento e riflessivo, ma ha accelerato bruscamente verso il finale. Con gli episodi 3 e 7 dedicati a flashback, e i protagonisti Joel ed Ellie praticamente assenti nei capitoli 8 e 9, la relazione tra loro non ha avuto lo stesso spazio di crescita che aveva nel videogioco. Nonostante ciò, l’istinto di aggiungere è stato, nel complesso, positivo.

Ora, a due anni di distanza, arriva la seconda stagione – e anche questa non perde tempo ad ampliare la narrazione. Già nella scena iniziale incontriamo Abby e i suoi compagni delle Luci fuori dall’ospedale di Salt Lake City, proprio dove Joel ha massacrato il gruppo per salvare Ellie. Abby ha perso una persona a lei cara e giura vendetta.

Questa è una deviazione significativa dal videogioco, dove le motivazioni e il passato di Abby restano nascosti fino a molto più avanti nella storia. Druckmann ha spiegato al Washington Post che, poiché The Last of Us Part II sarà suddiviso in più stagioni, non sembrava corretto mantenere segrete le intenzioni di Abby per tutta la seconda stagione. Inoltre, nel gioco si impersona Abby e quindi si crea un legame diretto. Nella serie, al contrario, “possiamo decidere cosa svelare e cosa no”, ha aggiunto Druckmann.

Nonostante il potenziale impatto di questa scelta, resta il dubbio su quanto ancora vedremo Abby prima della terza stagione. Nei titoli di coda del primo episodio, Kaitlyn Dever – l’attrice che la interpreta – è accreditata solo come guest star, il che potrebbe indicare una presenza limitata.

Tecnicamente, la modifica dell’arco narrativo di Abby rappresenta solo una riorganizzazione temporale della trama. Tuttavia, l’episodio introduce anche nuovi personaggi assenti nel gioco. Uno di questi è Benjamin, il figlio di cinque anni di Tommy e Maria. Nel videogioco, la coppia non ha figli, ma nella serie era stato anticipato che Maria fosse incinta. Quando Tommy esprime il desiderio di essere un buon padre, Joel – ancora prigioniero dei suoi sensi di colpa – riesce a rispondere soltanto con un freddo: “Lo scopriremo.”

Questa scelta aggiunge nuove sfumature emotive, aprendo strade narrative inedite, ma solleva anche interrogativi: fino a che punto l’ampliamento della trama arricchisce davvero la storia originale?